Il progetto
Nel centenario della nascita di Mario Battaglini, uomo cardine del Rugby rodigino, cui è intitolato, non a caso, il tempio del rugby cittadino, lo Stadio, dove gli è dedicato un monumento realizzato dal maestro Zancanaro, l’associazione Centro Studi MondoOvale ha proposto un articolato progetto per ricordare il grande atleta, il grande personaggio, il grande uomo, Maci, il Maciste della palla ovale.
L’associazione ha realizzato un articolato progetto, che si è svolto nell’arco dell’anno scolastico 2019-2020, in collaborazione con alcuni partner e in particolare, per quanto riguarda il coinvolgimento delle scuole, con il sostegno della Fondazione Banca del Monte di Rovigo, sempre attenta alla formazione delle giovani generazioni che passa anche attraverso lo sport, ricordando figure con cui si identificano in modo edificante la città e i cittadini.
Nell’ottobre 2019 l’associazione ha realizzato una mostra in Pescheria Nuova per ricordare Mario “Maci” Battaglini con l’esposizione di significativi cimeli, culminata , il giorno 20 ottobre, giorno in cui ricorre il centenario della nascita, con la proiezione della riedizione restaurata e ampliata del documentario curato da Saverio Girotti intitolato “Le rois des buteurs”.
Parallelamente, in collaborazione con la Fondazione Banca del Monte di Rovigo e l’Ufficio Scolastico Provinciale, è stato indetto un concorso rivolto alle scuole di primo e secondo grado della provincia di Rovigo incentrato sul mito e sulla “leggenda” che nel corso degli anni ha ammantato la figura di Battaglini nella tradizione orale popolare cittadina. Ma anche sui valori dello sport, in particolare del Rugby, di cui Battaglioni esprimeva un
positivo esempio. Il concorso ha voluto mirare al recupero della figura del “Roi des Buteurs”, nonché – con lui – alla valorizzazione dello sport in cui Rovigo si riconosce, il rugby, uno sport fatto di fatica, sudore, cuore, gioco di squadra. Il progetto rivolto alle scuole ha visto la realizzazione di una piccola pubblicazione che mostra i lavori realizzati dagli studenti e la loro percezione della storia e della tradizione rugbistica a Rovigo insieme alla figura di Maci, uomo e atleta.
E’ stato realizzato anche un bel video che vi proponiamo dal sito di MondoOvale.
Il Rubgy, storia e identità
“Il rugby in Italia fa una episodica comparsa nel 1910, a Torino, con un incontro internazionale dimostrativo tra il Racing club Parigi e il F.C. Servette di Ginevra. Nasce il Rugby Club Torino che, così come si costituisce, in pochi mesi si dissolve dopo aver disputato un incontro “con una squadra messa insieme alla meglio dalla Pro Vercelli” Il 2 aprile 1911 a Milano si disputa l’incontro tra l’U.S. Milanese e l’U.A. Voironnaise e nel 1912 a Vercelli si gioca un secondo incontro, tra U.S. Milanese e S.O. Chambery, sempre vincitori i francesi. Dopo quell’incontro la pratica del rugby in Italia pare dissolversi, del resto i tempi volgevano verso il primo conflitto mondiale. Nell’estate 1927 il rugby ricompare a Milano grazie a Stefano Bellandi che fonda il Comitato di Propaganda del Gioco della Palla Ovale (Rugby), emanazione del CONI e sul campo del S.C. Italia dà avvio a dimostrazioni mattutine domenicali. L’1 novembre di quell’anno si giocherà la prima partita, a Bologna tra S.C. Italia di Milano e la Selezione Regionale du Littoral, con successo 27-18 dei francesi e il giorno dopo a Milano con un 46-35 per i francesi. Altre squadre francesi incontrano lo S.C. Italia in dicembre e nel marzo 1928 e il 15 aprile, al Motovelodromo di Torino si misura con il F.C. Grenoble vincendo 27-20 contro una formazione che ha tra le sue fila Julien Saby, futuro grandissimo organizzatore e tecnico in Italia, nonché futuro allenatore del Rovigo nel triennio 1974-1976. Sull’onda dell’entusiasmo, il rugby si radica dunque anche a Torino, mentre a Roma la presenza di molti studenti anglosassoni, dei fratelli Vinci e dello studente romeno Balsch, dà avvio al rugby nella capitale con la nascita della S.S. Lazio. Giorgio Tognetti, nel suo libro 50 anni di speranza, così racconta la nascita della palla ovale nel Veneto: “Immediatamente e dopo la “prima” di Bologna, i padovani Amedeo Fusaro e Piero Pierobon, convocarono alla Trattoria Ai Veneziani di Prato della Valle un po’ di ragazzi e seduta stante misero in piedi una nuova società, i Leoni di San Marco. Il 19 marzo 1928 debuttò a Brescia contro la Leonessa, appena formata, il 15 aprile giocava a Udine e il 30 aprile portava il rugby all’Appiani di Padova affrontando S.C. Italia.
Il presidente del primo club veneto, Italo Cavalli, riuscirà intanto a convincere un istruttore di rugby, Rodolfo Brauer, a fare la spola Milano-Padova ogni giovedì e domenica, per allenare i pionieri del Padova. A Padova il rugby dunque arriva da Milano e già il 6 gennaio 1929 i Leoni di San Marco pareggiano 6-6 a Ferrara contro il Bologna.
Il primo campionato italiano vede la luce nel febbraio del 1929 con due squadre di Padova affiliate: il Rugby Club Littorio e i Leoni di San Marco, ma solo questi ultimi si iscriveranno e disputeranno le partite del girone B insieme a S.S. Lazio e Bologna Sportiva. Nel 1930 la Federazione Italiana Rugby viene commissariata e il campionato di rugby viene organizzato sotto l’egida della Federcalcio. Al secondo campionato, e in quelli successivi, si iscrive il GUF Padova, con alterne fortune, giungendo talvolta alle finali contro il GUF Torino. A Treviso il rugby nasce per una scommessa fra Livio Zava e Cesare Sarti di Mestre nella primavera del 1932”. Come scrive Tognetti, “entrambi giocavano a Padova e volevano vedere chi dei due sarebbe riuscito a mettere insieme una squadra”. Già nel 1934 a Treviso la squadra del GUF vince il campionato di prima divisione (vinto nel 1933 dal A.F.C. Padova) e due anni dopo la squadra della GIL sarebbe salita sul terzo gradino del podio alle finali nazionali di Torino grazie a Zavan, Bazzo, Bandiera, Massarotto. Nel 1934 intanto Julien Saby, ex giocatore del Grenoble, vince il concorso tecnico della Federazione Italiana Rugby. In quegli anni l’Amatori Milano diviene un punto di riferimento per tutti i migliori rugbisti italiani, grazie ad un reclutamento basato su possibilità di lavoro che nessun’altra realtà dell’epoca può garantire: i triestini Renato Bevilacqua, Giuseppe Visentin prima e i veneti Ivan Aloisio, Renzo Cova e Mario Battaglini poi, passeranno tra le fila dell’Amatori. Il 5 settembre 1937 quella squadra sconfigge 27-9 i campioni di Francia del Vienne a Busto Arsizio.
Ma intanto è arrivato il momento di Rovigo e del suo primo approccio col rugby. Il rugby non nasce dalle realtà metropolitane e industriali come Genova, Milano, Torino, o politico/amministrative come Roma, dove infatti sfonda il calcio, che necessita di maggiori capitali e attenzioni mediatiche, bensì come aggregazione di più centri che distano a meno di un’ora l’uno dall’altro: si tratta di una realtà territoriale policentrica. Il calcio infatti non sfonda in Veneto, a parte isolate e brevi eccezioni: il Venezia nell’era pionieristica, il Padova di Rocco, il Vicenza di Paolo Rossi e l’eccezionale scudetto di Verona. Il Veneto aveva ed ha una dimensione socio-economica medio-piccola, costituita dall’impresa artigiana, dall’impresa familiare, da migliaia di aziende agricole o di servizi. Prevale in qualche modo il senso della comunità familiare, contrapposta al sistema industriale della catena di montaggio e basata sul sacrificio, l’impegno, la lotta alle avversità, la solidarietà: valori su cui si fonda lo spirito dello sport del rugby, che ha nel gioco della mischia la metafora migliore per capirne l’essenza: metà squadra allacciata insieme per conquistare il pallone e determinarne l’utilizzo successivo. Ma tale spirito riemerge prepotente anche in aspetti extrasportivi come la celebrazione del rispetto reciproco nel terzo tempo subito dopo la conclusione delle gare ufficiali così come la goliardica pratica delle grigliate di gruppo. Le squadre venete rispecchiano fedelmente le realtà sociali delle città in cui nascono e si sviluppano. Il rugby arriva in Veneto, a Padova, provenendo da Milano, ma si svilupperà soprattutto nel mondo scolastico e universitario. A Padova il rugby cresce nei licei Barbarigo, Nievo, Tito Livio, negli ambienti gesuiti, all’Antoniano e nei tornei studenteschi che alimentano i vivai di giocatori di rugby. Il rugby universitario è il serbatoio delle squadre padovane. E’ un rugby elitario, con classi benestanti che finanziano il gioco e che si apre anche alle classi meno abbienti.
A Rovigo invece il rugby è portato nel 1935 da Davide Lanzoni, un giovane universitario che frequenta l’ateneo padovano e vanta trascorsi nel GUF Padova, ma ben presto, complici gli eventi bellici, il rugby mette radici nel quartiere “popolare” di San Bortolo, (corte delle pignatte) esprimendo un rugby passionale, ruspante, basato principalmente sulla mischia, sul combattimento fisico e sul temperamento. Il rugby veneto germoglia quindi nell’ambiente borghese padovano ma sarà nella Rovigo contadina degli anni trenta che metterà radici popolari, fondendo lo spirito sanguigno dei pionieri al desiderio di liberazione di una terra a lungo periferica e tormentata da guerre, alluvioni, malattie sociali che colpiscono una popolazione provata nei secoli e vocata all’esodo verso il sogno americano: era nato così senza volerlo il mito negativo del polesano “polentone”, che alimenterà a lungo l’immaginario collettivo, ma cui il nuovo sport offrirà l’occasione del riscatto, dando la stura a un orgoglio tutto rodigino e polesano, quello del sentirsi rugbisti dentro. I pionieri rodigini sono personaggi del popolo, uomini che, come l’eroe per antonomasia, “Maci”, lavorano quotidianamente fianco a fianco con la gente comune, nelle scuole, nei campi, nelle botteghe artigiane: persone comuni che trovano nella mischia, nel gioco di squadra, quello che non arricchisce se non l’anima, il vero senso della vita. Tra tutti emerge “Maci”, eroe di guerra e vicino alla Resistenza, che, finita la guerra, riprende le scarpette sportive divenendo nel 1947 e per tre anni il più acclamato dei rugbisti di Francia, dove l’italiano medio è malvisto, è visto come un perdente e si trascina la fama di trasformista, ma piace tuttavia quel gigante in terza linea, capace di partenze brucianti, abile nel calcio piazzato, persino da centrocampo e per il Vienne è il trionfo, per i francesi diviene “Le roi des buteurs”, il re dei calciatori, ma anche “le pied d’oro”, il piede d’oro, per tutti gli sportivi francesi sarà per sempre “le gran Batà”, il grande Battaglini. Morirà dopo anni da allenatore e dopo esser tornato nella sua Rovigo al suo semplice ruolo di bidello a S. Bortolo, idolo dei ragazzini, appena 52enne all’alba del primo gennaio 1971, dopo aver battuto violentemente la testa cadendo dalla bici per non investire una donna che gli aveva tagliato la strada.
La prima grande affermazione del Rovigo arriverà con la serie dei quattro scudetti dei primi anni ’50, con uno straordinario Battaglini, che faranno del capoluogo polesano la capitale indiscussa del Rugby italiano. Poi ci sarà l’isolato scudetto di Treviso del 1957 e ancora il secondo ciclo di Rovigo, con altri tre scudetti consecutivi agli inizi degli anni sessanta. Complessivamente, ad oggi, saranno ben 12 gli scudetti vinti dal Rovigo.
[Fonte: www.mondovale.net]