Musica e Poesia – Musica e Pittura, rispettivamente giunta alla XI e alla XXIV edizione, è la consolidata rassegna che accosta, in otto incontri-concerto, la musica alla lettura di poesie e di brani di autori e alla visione di opere pittoriche nelle domeniche autunnali in Accademia dei Concordi. Sempre rinnovata, la duplice iniziativa è unita da un solo tema conduttore, quest’anno rappresentato dall’Europa. Un’unica manifestazione che, grazie alle diverse forme di espressione artistica, offre alla città concerti di notevole qualità sia per il programma musicale sia per l’esecuzione, con lo specifico scopo di valorizzare il patrimonio culturale sotto molteplici aspetti mentre mette in luce talentuosi giovani allievi del Conservatorio rodigino “Francesco Venezze”.
Musica e Poesia – Musica e Pittura è una iniziativa culturale promossa e realizzata da Fondazione Banca del Monte di Rovigo, Conservatorio di musica “Francesco Venezze” e Accademia dei Concordi, da alcuni anni con il patrocinio del Comune di Rovigo – Assessorato alla Cultura e della Fondazione per lo sviluppo del Polesine in campo letterario, artistico e musicale e con il contributo di Credem Banca.
LA MUSICA
Profili dei programmi musicali degli otto eventi
Protagonista del primo appuntamento domenica 6 ottobre è il fagotto (“Sit phagotus et phagotus fuit”): questo strumento, non consueto nelle programmazioni concertistiche, ha tuttavia una lunga ed affascinante storia sia in Italia – dove compare nella iconografia ferrarese di metà Cinquecento ad opera di un pittore noto come “il maestro dei dodici Apostoli”, segno della presenza presso gli Este di virtuosi di questo strumento – sia, nell’ultimo quarto del secolo XVI, in Europa del Nord (Germania, Belgio, Inghilterra), segno tra l’altro delle attive relazioni che caratterizzavano il continente. Il programma del concerto è “a sorpresa” in quanto il suo impaginato viene preparato nel corso della masterclass tenuta da Alberto Biano, diplomato a Rovigo e poi lanciato in una carriera europea, e dal docente del Venezze Alberto Guerra, con gli studenti della stessa.
Domenica 13 ottobre il concerto “Libertà di amare …” è dedicato a due tra i più illustri coniugi musicisti della storia occidentale, Clara Wieck e Robert Schumann: il loro innamoramento fu ostacolato dalla famiglia di lei, ma poi sfociò sia nel matrimonio, sia in tante composizioni, veri e propri epistolari pentagrammati che altrimenti possiamo facilmente presumere non sarebbero stati composti, da parte di entrambi; doloroso fu poi l’epilogo della loro vita a due con la lunga malattia di Robert. Oltre ad un ricco corpus di romanze di Clara per voce e pianoforte presentate dal soprano Laura De Silva e dalla pianista Zhang Wang il concerto si arricchisce delle tre Romanze per oboe op. 94 di Robert cui corrisponderanno alcuni anni dopo quelle di Clara op. 22 dalle quali ascolteremo la prima, con Arianna De Mori e Marta Zese oboi e Francesco De Poli, pianoforte.
Ancora Robert Schumann protagonista del concerto di domenica 27 ottobre “Nostalgia della Perfezione” interamente occupato dal Quintetto op. 44 per pianoforte e archi, una complessa struttura sonatistica, arricchita contrappuntisticamente dal fugato finale, nella quale il modello di una forma perfetta, figura della “Città Ideale” ovviamente irraggiungibile, si snoda nelle appassionate linee melodiche, armoniche e ritmiche sempre cangianti degli strumenti trattati in combinazioni diversissime tra loro, espressione dell’anelito all’Infinito proprio dell’Uomo romantico. Oltre a quattro studenti del Venezze, Alessandro Pelizzo e Antonella Solimine violini, Andrea Bortoletto viola e Alessia Bruno violoncello, il quintetto si avvale del “ritorno” in Accademia dei Concordi del giovanissimo pianista Tommaso Boggian, diplomato con lode e menzione d’onore al Conservatorio di Rovigo e già vincitore di numerosissimi premi in concorsi pianistici tra cui il prestigioso Premio Venezia.
Domenica 3 novembre il concerto “Punti luminosi di un’epoca oscura. Musicisti nei campi di internamento dell’Italia fascista” prende in esame la “città sbagliata”, ossia la meta italiana ritenuta quale rifugio per diversi perseguitati dalla Mitteleuropa, ma ben presto destinata a rivelarsi tutt’altro. Nei campi di internamento, in particolare quello di Ferramonti, i musicisti lì rinchiusi non si diedero per vinti e riuscirono comunque a “fare musica”: il programma preceduto da una guida all’ascolto a cura di Raffaele Deluca, docente di Bibliografia e biblioteconomia musicale al Venezze e studioso di questo tema, ripercorre alcuni pezzi che furono eseguiti, come attestano i diari dei prigionieri, a Ferramonti. Si va pertanto da musiche antiche quali la celeberrima Ciaccona di Antonio Vitali o la Suite inglese in sol minore di Johann Sebastian Bach ad autori del XIX secolo quali Petr Ilic Ciakowsky e Anton Stepanovic Arenskij, e alla originale trascrizione di un frammento della Settima Sinfonia di Bruckner opera del violoncellista Isak Thaler. Interpreti del concerto gli studenti Genadi Gershkovich al violino e Edoardo Francescon al violoncello, con il pianista Luigi Caselli, per molti anni docente al Venezze e proprio da novembre titolare di cattedra al Conservatorio di Bologna, sua città natale e di residenza.
Il connubio con la pittura sei-settecentesca ha inizio domenica 10 novembre con il “Viaggio musicale in Italia nella età di Farinelli”, una scelta di arie d’opera di Antonio Vivaldi e Nicolò Porpora, intermezzi strumentali sempre di Vivaldi e di Baldassarre Galuppi per giungere poi a due pagine vocali di Georg Friedrich Haendel che trasmise le sue precedenti esperienze italiane in Inghilterra. Anche i diversi temi delle opere scelte aprono un ampio spaccato storico-geografico dei loro personaggi ben più esteso della stessa Europa, Leitmotiv della doppia rassegna. Il programma è affidato alle voci di Xiao Hong soprano e di Marina De Liso mezzosoprano, rispettivamente studentessa e docente di Canto rinascimentale e barocco, mentre il basso continuo, struttura essenziale della musica barocca, è affidato a Paola Nicoli Aldini, titolare della cattedra di Clavicembalo, e ad Anastasia Rollo al violoncello.
Dal profano al sacro: rimanendo in ambito settecentesco il programma musicale di domenica 17 novembre si svolge interamente sul celeberrimo “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi, una pagina davvero “perfettamente riuscita” che nemmeno Johann Sebastian Bach riuscì probabilmente a rendere in una sua successiva rivisitazione ancora più mirabile. L’essenzialità della partitura di Pergolesi ben rende la precarietà e spoliazione del Cristo sul Golgotha, “Frammento”, ma in quanto tale “Segno del Tutto” riuscendo a tradurre la desolazione del venerdì santo nella grande Bellezza che può salvare il Mondo. Interpreti un ensemble vocale-strumentale di studenti formato da Laura De Silva soprano, Sun Qian Hui mezzosoprano, Joel Kim e Elena Spremulli violini, Valentina Borgato viola, Marina Pavani violoncello e Alessandro Spada contrabbasso con Marco Ricciarelli al clavicembalo.
Domenica 24 novembre il concerto “Antonio Caldara – Suonate” preannuncia il prossimo 350° anniversario della nascita del compositore e violoncellista veneziano poi trapiantato a Vienna dopo aver attinto dai patrimoni di altre città italiane, prima fra tutte Roma, ed europee tra cui Barcellona, Boemia e Moravia, mentre alcune sue opere hanno trovato immediatamente fama grazie alle pubblicazioni a lui coeve del famoso editore olandese Roger. Il corpus presentato si divide in due momenti distinti: le più moderne sonate viennesi composte al termine della carriera intrise della ricchezza melodica di Caldara noto soprattutto per i repertori vocali e le giovanili sonate veneziane di tradizione italiana. Le esecuzioni sono affidate a tre studenti del corso accademico di secondo livello in Violino barocco tenuto da Federico Guglielmo, Dario Palmisano, Michele Saracino e Silvia Valletta, con Alessia Bruno al violoncello.
La rassegna si conclude domenica 1° dicembre con “A tutto Sax!!!”, un programma che traghetta gli ascoltatori dalla musica di Johann Sebastian Bach a tre importanti lavori del repertorio del Novecento per sassofono e pianoforte, quali la Rapsodia di Claude Debussy, il quale – esploratore delle nuove timbriche – iniziò questo importante lavoro senza portarlo però di fatto a termine causa la delusione per le qualità musicali della committente. Esso viene oggi recuperato nella versione del virtuoso Sigurd Rascher che non volle perdere l’occasione di arricchire la letteratura del suo strumento con la firma del grande maestro francese; seguono poi la brillante e raffinata Sonata op. 115 del belga Jean Absil e quella di Paul Hindemith nella quale antiche strutture ammiccanti a Bach si incontrano con il nuovo linguaggio del Novecento, confronto tra due epoche che lo stesso compositore riporta in un breve dialogo che deve essere letto dai due interpreti, sassofonista e pianista prima del movimento finale. Marco Brusaferro, Marco Marabese, Nicola Cecchetto e Jacopo Borin, tutti studenti della classe di Sassofono di Fabio Petretti, si alterneranno nelle sonate con Giuseppe Fagnocchi al pianoforte. [Giuseppe Fagnocchi]
LA POESIA
EUROPA. Linee di lettura per la storia di un continente
Volevamo capire in cosa consistesse la cifra culturale d’Europa.
Abbiamo cercato, e abbiamo trovato, delle linee di forza che, come macrosegni, percorrono ininterrotte, anche se a volte sottotraccia, la civiltà europea, radicate tanto in profondo da confermarne l’essenza e garantirne la identità.
In altre parole abbiamo cercato l’europeità dell’Europa.
Ci rendiamo conto che l’Europa è terra di conflitti continui e ripetuti, tanto esterni quanto intestini, di guerre prolungate, di trattati di pace “senza il bacio di pace” (“Peace, but not the kiss of peace”, T. S. Eliot, Assassinio nella cattedrale); sappiamo come i campi fertili d’Europa siano stati il più delle volte campi di battaglia. Sappiamo che la civiltà europea è la perenne alternanza tra conservazione e innovazione, come per lo più si dice; per conto nostro, tuttavia, siamo arrivati alla convinzione che la cifra della cultura europea sia la tradizione: un accumulo e una concentrazione di tante affluenze e presenze di civiltà che l’Europa porta con sé, un passato illustre e imperituro, ingombrante forse, tale da generare rifiuti e sconfessioni, ma così robusto da riassorbirli in se stesso. Solo un esempio: la classicità, poi il classicismo, di nuovo il neoclassicismo, precedenti o susseguenti a stagioni di esplicito e rumoroso rigetto come il romanticismo e l’illuminismo, quando non si tratti del silenzioso rifiuto del decadentismo. Sono esempi storici; quelli della cronaca sono sotto gli occhi di tutti e ci sembra reagiscano alla stessa dialettica oppositiva.
Con queste premesse, verrebbe da dire che la costante dell’Europa è la guerra.
Ma proprio qui ci troviamo di fronte al paradosso europeo: le contese, le divisioni, la lotta, in una parola la guerra, se hanno significato morte non hanno sancito la fine della sua storia ma hanno scatenato la straordinaria energia di un continente che trae forza da se stesso. Come se il mito del gigante Anteo, che abbattuto risorge non appena tocca la Madre Terra, – un mito che appunto l’Europa ha generato – replicasse in lei la sua vitalità.
Perciò ci è parso opportuno partire dal mito perché esso racchiude, come appunto il suo statuto, gli elementi fondanti del problema su cui riflette e, nel contempo, è generatore di interpretazioni che non vanno mai trascurate perché aspetti della storia di quel problema e, quindi, riconducibili al mito. In questo senso abbiamo dato spazio ad antiche testimonianze sull’Europa, remote nel tempo, ma sufficientemente vicino al mito così da farsi reciprocamente garanzia. In questi documenti arcaici è rintracciabile il connotato guerriero, orgoglioso, ma anche avventuroso e ramingo, sostanzialmente irriducibile del carattere europeo (1° giornata – domenica 6 ottobre )
Poi (2° giornata – domenica 13 ottobre), abbiamo ritenuto di soffermarci su un macrosegno di pensiero: il problema della libertà della volontà, ovvero il libero arbitrio – in una parola la libertà di scelta – un argomento costante e fondativo della riflessione europea e ne abbiamo cercato le ricadute e gli esiti, diffusi e già popolari, nella letteratura e nella poesia d’ Europa.
Senza ignorare che dalla libertà della volontà, quando sia assunta come esigenza di vita pubblica, derivano per conseguenza le norme del diritto positivo che, se si porta dietro la tensione con il diritto ancestrale – non dimentichiamo il contrasto tragico, antichissimo ma sempre attuale tra gli ἂγραπτα ϑεῶν νόμιμα, invocati da Antigone, e le leggi sancite, γԑγρrαμμένoι νόμoι, nel codice della città – è pur sempre una garanzia di vita “felice” per tutti.
L’Europa, dunque, per secoli riflette su questo argomento che, a guardare bene, è il senso del suo umanesimo, sia come fatto culturale o, più semplicemente, come condizione per la dignità dell’uomo.
A questo punto si è precisato un altro motivo conduttore del profilo d’Europa: il luogo, lo sfondo naturale dove essa ha collocato e proiettato le sue riflessioni, i suoi problemi; la città, cioè, lo spazio urbano, interlocutore e protagonista insieme della civiltà europea (3°giornata – domenica 27 ottobre).
La città è simbolo e allegoria dell’Europa. La città da distruggersi con la violenza o con l’inganno, da costruirsi con orgoglio, è il punto di irradiazione della civiltà europea e ne ha condiviso la storia. Nelle città si è insediato da padrone il conquistatore, nelle periferie della città si sono abbattute per arenarsi masse di diseredati, di profughi. Lungo le strade della città sono discesi gli eserciti dei vincitori, nelle sue piazze sono scoppiate sommosse e rivoluzioni; i suoi palazzi, le sue chiese, le sue case sono impresse dal passaggio della storia, e se anche sono stati in parte distrutti, nella città sopravvivono i sentimenti degli uomini che le hanno abitate:
“Parigi cambia! Ma niente, nella mia malinconia,
s’è spostato: palazzi rifatti, impalcature,
case, vecchi sobborghi, tutto mi è allegoria:
pesano come rocce i ricordi che amo.”
(C. Baudelaire, Les Fleurs du Mal, LXXXIX, II, 1-4).
Tutto è scambio nella città con le persone che lì vivono. È vero che la campagna, i monti, l’incanto dei luoghi naturali, l’acqua dei laghi, dei torrenti hanno avuto il loro magico posto nella poesia e hanno sostenuto, calmato, ispirato l’animo dei poeti. Di essi, anche di essi, si nutre l’arte. Ma questa arte poi ritorna al centro, ha bisogno della città, perché l’autentica vocazione dell’arte è condividere, partecipare, se non vuole morire. In questo senso va l’indicazione dei filosofi: scendendo verso la città, Zaratustra incrocia un santo vecchio che risale in senso contrario verso la montagna per “vivere orso tra gli orsi, uccello tra gli uccelli” e, salutandolo, Zaratustra conclude: “Questo povero vecchio saggio ancora non ha capito che Dio è morto”.
(F. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, pref. 2).
Dal profilo che si è andato formando ci rendiamo conto che l’Europa è terra di volta in volta di conquista e di colonizzatori e ha generato e patito imperialismi dalla sua prima affermazione storica al secolo appena passato per cui la sua cultura e la sua letteratura si sono di necessità scontrate con mondi e civiltà diverse. Da ventisei secoli questo scontro è in atto ma non è stato infelice. Con umiltà, che vogliamo credere autentica, Orazio ha scritto che la Grecia in ginocchio insegnò le forme della bellezza a una Roma ancora rozza (“Graecia capta ferum victorem cepit…” = “La Grecia, conquistata conquistò il selvaggio vincitore” (Epistole, Il, 1, 156), e non si è sbagliato. Da parte loro, gli apologeti cristiani affermavano orgogliosamente che al paganesimo la nuova religione aveva portato via tutto:
“Hesterni sumus, et vestra omnia implevimus, urbes insulas castella municipia conciliabula castra ipsa tribus decurias palatium senatum forum; sola vobis reliquimus templa” = “Siamo appena arrivati. Vi abbiamo portato via tutto: città, caseggiati, fortezze, municipi, assemblee, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, il palazzo imperiale, il senato, il foro; vi abbiamo lasciato solo i templi”.
(Tertulliano, Apologeticum, XXXVII, 4).
Ma ciò non è stato del tutto vero. Quindi non è da questo versante che arriverà l’annientamento d’Europa come da più parti si teme. L’arte vive di questi scontri; attualmente non siamo in grado di dire se ci sia un aggiustamento oppure molto sia già andato perduto, tuttavia in civiltà altre dall’Europa rivivono vigorosamente archetipi europei di cui sembra si senta nostalgia.
Di qui l’ultima sezione (4° giornata – domenica 3 novembre) del nostro lavoro che riguarda un sentimento che ci pare europeo: la nostalgia. Si è scritto che la poesia di Leopardi sia stata definita come “nostalgia della vita”. Non abbiamo un riscontro preciso di questa espressione, forse è solo la lettura di un critico, ma per Leopardi la definizione è esatta.
Come, secondo noi, anche per l’Europa.
Nostalgia per un mondo felice? Non è credibile. Meglio, nostalgia per una perfezione, un’armonia primigenia che da qualche parte ha fatto la sua apparizione, di cui il mito trattiene un ricordo atemporale e di cui avvertono il richiamo i poeti, quando sono veramente poeti. Nostalgia dell’Assoluto: “E mi); sovvien l’eterno” ‘cantava’ Leopardi (L’infinito, v. 11 allora nostalgia vale superamento, prova, tensione, “oltraggio” di ogni meta non appena raggiunta.
La nostalgia nel suo etimo è una sofferenza “algos” per un ritorno “nostos” che non sarà dato, e genera quella grande metafora del viaggio che è un altro macrosegno della cultura europea e, anche se la cultura del ‘900 ha svelato che non è importante la meta (“Itaca ti ha donato il bel viaggio. / (…) / Nulla ha da darti di più”: C. Kavafis, Itaca, 1912), nella cultura europea il viaggio è profondamente radicato, come reale cammino, come allegoria della esistenza.
Non insistiamo su questa metafora perché è quella più in movimento, in sintonia con il cammino dell’uomo, sia esso viaggio della vita, o della conoscenza o, per estensione, viaggio dell’Europa: ne rispettiamo il movimento come simbolo di vitalità. Ci basta cogliere di essa qualcosa che da sempre la connota: il viaggio, sia duri una giornata, o si distenda negli anni come il gran tour dei viaggiatori dell’Ottocento, oppure il viaggio nella liturgia dei mesi e delle stagioni è sempre fedelmente, affettuosamente ritmato dal suono delle campane. È la voce dell’Europa. I viaggiatori europei in altre parti del mondo spesso hanno riconosciuto in absentia il suono delle campane: non c’era a segnare la loro giornata la voce della campana della loro terra.
Perciò ci siamo p di sottotitolare ogni giornata con un verso di un poeta. E abbiamo scelto Dante Alighieri, primo perché tutta l’Europa ne riconosce la grandezza e gli fa posto tra i suoi poeti. Poi, perché come italiani gli dobbiamo riconoscenza per la conservazione e creazione di un patrimonio di lingua, di immagini, di passione. E se vale l’identità uomo-poeta, si può dire di lui che è stato persona fiera, coraggiosa, non si è piegato al potere, non è plebeo e ha saputo scegliere il pane salato dell’esilio. Ma un motivo da solo basterebbe: i poeti a distanza di secoli, nell’intervallo di millenni, riescono a conoscersi tra loro. Anche se non si sono letti l’un l’altro, partecipano delle stesse idee che vivono nell’aria come adesso passano attraverso la rete. Chaucer amava Dante, Goethe lo portava con sé, i poeti russi del 1900 lo leggevano di nascosto negli anni oscuri della dittatura, Eliot e Pound ne sentono il rimpianto e con i loro versi cercano il suo mondo. Perciò i poeti vivono nelle pagine di altri poeti e l’intera Europa si apre come un libro di rimandi e di echi in un dialogo sempre rinnovato e difficilmente rinnegato:
“Io non ho udito i racconti di Ossian,
non ho gustato quell’antico vino;
e la luna sanguigna della Scozia
perché mai vedo, e perché una radura?
(…)
Un’eredità sacra mi è toccato:
gli erranti sogni di aedi stranieri;
(…)
Ché forse più di un tesoro, scavalcando
i nipoti, raggiunge i pronipoti;
e lo scaldo può rifoggiare un canto
non suo, e come suo renderlo noto”.
(Osip Mandel’štam, 1914 ).
[Testo di Natalia Periotto, relatrice; Editing Enrico Zerbinati]
LA PITTURA
Il Veneto e l’Europa: Tiepolo, Canaletto, Carriera, Pellegrini artisti
Nel Settecento si parla veneto in tutta Europa, esiste soprattutto un asse privilegiato fra Londra, Parigi e Venezia.
La Serenissima è un modello politico, identificata come la città ideale degli antichi Greci dove convivono armonicamente tre forme di governo: la monarchia (nella figura del Doge), l’oligarchia (nel Consiglio dei X) e la democrazia (nel Senato).
Già nel XVI secolo Palladio e le sue ville sono prese a modello dai gentiluomini inglesi, che passano in campagna parte dell’anno a curare i propri interessi, ma anche il proprio corpo e la propria mente, ritemprata dalla lettura dei classici; lo sviluppo del palladianesimo come stile autonomo continua fino alla fine del 1700, secolo questo durante il quale influisce notevolmente sull’architettura neoclassica.
Contemporaneamente alla diffusione del palladianesimo in Europa, il 12 dicembre 1750 Gianbattista Tiepolo (domenica 10 novembre, relatrice Roberta Reali) , grazie alla sua fama di frescante, viene chiamato dal principe vescovo Karl Philipp von Greiffenklau per decorare la sua residenza di Würzburg in Germania insieme ai figli Giandomenico e Lorenzo; il pittore poi si sposterà a Madrid a servizio di Carlo III di Spagna e qui trascorrerà gli ultimi anni della sua vita. Lo stesso Giovanni Antonio Canal detto Canaletto (domenica 17 novembre, relatrice Cristina Elettra Ferrari) amato dai nobili inglesi del Grand Tour e supportato dal console Smith, nel 1746 decide di trasferirsi a Londra per cercare nuovi committenti. Qui comincia a creare rapporti con i suoi nuovi clienti e muta la sua pittura in base alle loro esigenze. Dopo aver interrotto il soggiorno inglese una prima volta nel 1750 e una seconda volta nel 1753, Canaletto torna a Londra e stringe rapporti con Thomas Hollis, uno dei più importanti committenti del periodo inglese; rientrato a Venezia definitivamente, la collezione del console Smith, suo mecenate e grande collezionista, viene acquistata da Re Giorgio III e confluisce nelle collezioni reali inglesi. Anche Rosalba Carriera (domenica 24 novembre, relatrice Alessia Vedova), pittrice e ritrattista veneziana ottiene in vita riconoscimenti in tutta Europa, al punto che a commissionarle ritratti, oltre che principi e principesse, c’è persino il re di Francia Luigi XV; la Carriera entra inoltre a far parte dell’accademia reale di Francia durante il suo soggiorno parigino come ospite di Pierre Crozat, amico del pittore Antoine Watteau e noto estimatore dei suoi quadri.
Parimenti Giambattista Pellegrini (domenica 1 dicembre, relatrice Roberta Realia), cognato di Rosalba Carriera, esponente della pittura veneziana rococò, ottiene grande fama con le sue pitture storico-mitologiche e affreschi e, supportato anche dalla cognata, nel 1708 si reca a Londra con Marco Ricci, dove esegue vari cicli pittorici in stile rococò. Nel 1713 a Düsseldorf dipinge per il principe elettore Giovanni Guglielmo una serie di quattordici allegorie per il castello di Bensberg, oggi custodite nel Castello di Schlessheim in Baviera, dove si nota la commistione dello stile di Pellegrini con l’inventiva riccesca.
Nel 1716 dipinge ad Anversa i Quattro Elementi commissionati dalla Gilda dei Birrai; nel 1720 a Parigi affresca i soffitti della Banque Royale e nel 1727 a Vienna la cupola della Chiesa delle Salesiane per poi tornare a Venezia dove si spegne nel 1741.
Musica e Pittura racconterà in questo ciclo di incontri la storia di un territorio il Veneto, che seppe imporsi come baricentro culturale nell’Europa del Settecento. Lo fece attraverso la capacità di produrre bellezza, con la creatività dei suoi artisti, con una straordinaria sapienza nel ‘saper fare’, imponendo il suo gusto in tutte le più importanti corti europee.
[Alessia Vedova]